Vallarsa, l’eremo di Colombano e i cimeli di guerraDa Rovereto un itinerario che intreccia la storia del santo irlandese e quella dei fanti del ’15-18

Con il nuovo anno s’inizia a pensare alle celebrazioni per il centenario della Grande Guerra. L’Italia, come noto, entrò in guerra solo nel 1915, ma ci sono regioni del nostro paese dove si lavora già da tempo sull’argomento, perché nel 1914 appartenevano all’Impero Austro-Ungarico, coinvolto da subito nel conflitto. Un esempio è la Vallarsa, in Trentino, che da Rovereto volge a Sud-Est e si inerpica fra il Pasubio e le Piccole Dolomiti.

La valle, percorsa dal torrente Leno, inizia improvvisa appena oltre il centro storico di Rovereto. La stretta gola del corso d’acqua regala una visione fiabesca coll’apparire improvviso dell’eremo di San Colombano addossato alla strapiombante parete di roccia. La leggenda locale racconta che il santo irlandese giunto in questo punto della valle uccise un pericoloso drago, un basilisco, e si installò nell’antro scavato nella roccia che divenne il suo luogo di romitaggio. Colombano non fu l’unico ad arrivare da Nord. La valle venne infatti colonizzata, a partire dal 1200, da contadini di origine germanica chiamati dai Vescovi di Trento per dissodare quelle magre terre.  

Il problema di essere zona di confine fra due civiltà si ripropone drammaticamente proprio nel corso della Prima guerra mondiale quando, tra il 1915 e il 1916, la Vallarsa diviene il fronte su cui si attestano i due eserciti. Nelle zone occupate dagli austriaci la popolazione civile, oltre 100 mila persone, venne fatta sgombrare in Austria e altre zone dell’impero. Quando rientrarono alla fine della guerra trovarono macerie e distruzioni e molti per sopravvivere si dedicarono alla ricerca di materiale bellico sui campi di battaglia. Un mestiere pericoloso e difficile raccontato, anni dopo, da Ermanno Olmi nel film I recuperanti. Per i paradossi della storia, le guide del progetto «Pasubio 100 anni» che conducono oggi le visite nei luoghi della Grande Guerra sono i nipoti o i pronipoti dei molti soldati originari della valle che combatterono nelle file dell’esercito austro-ungarico.

In Vallarsa si sta tentando di valorizzare i luoghi simbolo della guerra, come le trincee di Matassone e di Monte Testo, l’imponente Forte Pozzacchio, il sistema trincerato del Monte Zugna, le fortificazioni del Pasubio. Fra gli italiani che combatterono in Vallarsa, il più famoso è certamente il sottotenente Eugenio Montale che qui scrisse la poesia Valmorbia raccolta in Ossi di seppia. I versi appaiono incisi su una grande lapide all’interno del forte Pozzacchio. Appena più in alto, sulle creste del Pasubio, venne catturato Cesare Battisti. Quel che più commuove quando ci si muove per la valle è incontrare i piccoli cimiteri dei vinti: povere croci con un pezzo di filo spinato, simbolo della guerra di trincea. Sono le tombe di giovani provenienti dalle varie regioni dell’impero, dalla Boemia, dalla Moravia, dall’Ungheria mandati a morire sulle montagne trentine. In totale fra italiani e austro-ungarici furono circa 10 mila i morti su un totale di 100 mila militari stanziati nella zona. Proprio alla guerra sul Pasubio è dedicata la mostra in corso al Museo Storico Italiano della guerra (www.museodellaguerra.it) ospitato nel Castello di Rovereto.

Dario Bragaglia - lastampa.it

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