Di Roccia e di Ghiaccio - Alla conquista delle Alpi contando fino a 12Dalla salita di Petrarca sul Ventoux ai nuovi climber dell’estremo una storia delle scalate scandita dai gradi.

Nel 1925 un forte alpinista tedesco, Willo Welzenbach (morto poi sul Nanga Parbat), elaborò una scala delle difficoltà alpinistiche, dal grado I, facile, al grado VI, estremo. Era una scala chiusa nel senso che non si concepiva la possibilità di andare oltre il sesto grado; dopo subentravano i mezzi artificiali.

Ma nel 1968 Reinhold Messner, con il fratello Günther, aprì una via sul Sass dla Crusc, che nessuno per un decennio riuscì a ripetere. E nel 1977 Ivan Guerrini in Val di Mello (una laterale della Valtellina) superò passaggi definiti psichedelici. Perciò nel 1978 l’Unione internazionale delle Associazioni alpinistiche riaprì la scala verso l’alto.

Così oggi l’élite dei climbers si muove attorno al dodicesimo grado. L’evoluzione delle difficoltà che ha scandito i passaggi verso la conquista di cime e pareti sempre più ardue e rischiose è stata presa a modello dal torinese Enrico Camanni per il suo nuovo e originale libro: Di roccia e di ghiaccio . Sottotitolo, appunto: «Storia dell’alpinismo in 12 gradi».

Dedicato esclusivamente all’arco alpino, in pratica il libro seleziona e racconta i suggestivi momenti in cui l’alpinismo ha cambiato faccia, ha mostrato abbordabile quanto era considerato impraticabile,ha sviluppato nuove tecniche, si è dotato di raffinate attrezzature, ha visto le donne primeggiare con i maschi (basta pensare a Luisa Jovane o a Catherine Destivelle).  

Non si tratta dunque di una storia cronologica, perché l’autore, anch’egli discreto alpinista, scrittore di saggi sulla montagna ma anche di sei romanzi, fondatore del mensile Alp e direttore del trimestrale Turin, ha costruito dodici grandi capitoli, corrispondenti ai dodici gradi delle difficoltà, come step decisivi dei diversi modi in cui l’uomo ha guardato al mondo alpino. Al grado zero, per esempio, troviamo la nota salita di Francesco Petrarca, nel 1336 dalla Provenza al Mont Ventoux, con il fratello Gherardo, illustrata dal poeta in Lettera dal Ventoso, che sembra inaugurare i «récit d’ascension» con cui gli scalatori descrivono le loro nuove vie.  

Naturalmente la nascita (o l’invenzione) dell’alpinismo coincidono con la contesa per la conquista del Bianco nel Settecento e con la corsa alla vetta del Cervino nell’Ottocento, che vedono protagonisti Balmat, Paccard, Wymper e Croz. Una romantica figura, senza pari, è Paul Preuss, che rifiuta l’uso dei chiodi di protezione e nel 1911, in Brenta, sale senza corda la parete est del Campanil Basso. Straordinario l’operaio Riccardo Cassin che, senza essere mai stato sulle Alpi Occidentali, nel 1938 piomba dalle sue Grigne alle Grandes Jorasses e si porta via lo Sperone Walker. Sfilano tutti i grandi nomi, ma c’è posto anche per gli exploit di personaggi minori. E’ il caso, per Camanni, del «piccolo e generoso Renzo Videsott», che sulla Cima della Busazza, in Dolomiti nel 1929, eguaglia il livello tecnico dei tedeschi della Scuola di Monaco e «tocca i vertici dell’arrampicata europea». Dopodichè smette di scalare e si dedica alla protezione dello stambecco.

Fin qui il libro mette a fuoco personaggi e imprese già radicati nella storia dell’alpinismo, rivisitati da Camanni sia in merito al progredire delle tecniche sia cogliendone le avventurose passioni. Ma per quanto riguarda la nostra epoca, il libro propone inedite letture, innovative se non trasgressive, sugli alpinisti e sulle imprese che segnano il passaggio da un’epoca a un’altra: la novità e la modernità possono essere uno scalatore eccentrico e ribelle come Maurizio Zanolla, ribattezzato Manolo, che neppure firma i suoi capolavori, o l’impervio terreno di audaci performance e di verifiche sperimentali, quale si rivela il paretone Sud della Marmolada, per esempio con la via «Attraverso il pesce»; oppure il salto da una fase tradizionale a una prospettiva rivoluzionaria è il movimento culturale «Nuovo mattino», che introduce nell’alpinismo italiano, non senza un accanito dibattito, la concezione di una rigorosa etica in merito all’uso dei chiodi.

«Dodicesimo grado, per il cronometro» è il titolo dell’ultimo capitolo. Protagonista, infatti, è la velocità di azione con cui i campioni contemporanei della scalata polverizzano i vecchi record relativi ai tempi di ascensione. Secondo Camanni, questa è la nuova frontiera nel progresso dei rapporti con la montagna. Uno dei casi che cita a supporto della sua tesi è quello del francese Christophe Profit, ventun anni, della Gendarmerie di Chamonix, che un bel giorno dell’estate 1982 si avvia per la mitica via di Hemming e Robbins al Petit Dru, lui da solo, con uno zainetto da passeggiata e il sacchetto della magnesite: affronta oltre mille duri metri di parete, un’impresa che una forte cordata normale non sempre riesce a fare in una giornata. Invece Profit ci mette 3 ore, lasciando sbalordito e incredulo tutto il mondo alpinistico.

Alberto Papuzzi - La Stampa.it

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