Secondo le prime notizie, le spoglie restituite dalla montagna sono proprio di un soldato della Grande Guerra. Non si sa ancora se fosse un italiano o un austriaco.
Maria Bergamas la portarono nel duomo di Aquileia, davanti a undici bare di ragazzi sconosciuti, come suo figlio. Lei si tolse lo scialle nero, e lo posò sulla seconda bara. A quel punto il cerimoniale tentò di farla uscire. Ma lei volle salutare anche gli altri caduti, come per chiedere scusa di non aver scelto loro. Arrivata davanti all'ultima bara, si accasciò per l'emozione.
Martedì mattina i carabinieri di Vermiglio e di Cogolo hanno raggiunto il punto di ritrovamento per effettuare i rilievi. Dopodomani la Soprintendenza dei beni storici effettuerà un sopralluogo e in seguito recupererà la salma e tenterà di identificarla, di darle un nome, un grado, una data di nascita e di morte.
Dopo il malore Maria Bergamas si riprese, e riuscì a concludere la cerimonia. Visse ancora una vita lunga, morì nel 1954, e ora riposa nel cimitero di guerra di Aquileia, accanto agli altri dieci militi ignoti. Il feretro del prescelto partì per Roma in treno. Fu un rito collettivo, un funerale di massa. Gli italiani identificarono i propri cari in quel corpo sconosciuto. Una madre pretendeva di far aprire la cassa, certa di trovarvi i resti del figlio. Tra Aquileia e Roma, il treno si fermò in 120 città e paesi, dove sindaci e cittadini riempirono il convoglio con oltre 1.500 corone, sotto lo sguardo di folle inginocchiate.
Oggi i fanti della Grande Guerra sono tutti morti. Carlo Orelli, mobilitato il 24 maggio 1915, se n'è andato il 25 gennaio 2005, un mese dopo aver compiuto 110 anni. L'ultimo cavaliere di Vittorio Veneto, Delfino Borroni, richiamato alle armi nel 1917, si è spento il 26 ottobre 2008. La memoria della Prima guerra mondiale vive nei racconti che abbiamo ascoltato dai nostri padri, e che possiamo ripetere ai nostri figli. Una tragedia che era meglio evitare, ma anche la prima prova dell'Italia unita: poteva essere spazzata via; dimostrò di non essere più un'espressione geografica, ma una nazione.
Sull'Adamello la Guerra Bianca, come l'ha chiamata lo storico inglese Mark Thompson, infuriò durissima, tra cunicoli scavati nel ghiaccio, trincee ricavate nelle creste delle montagne, cannoni issati sulle cime a forza di braccia. A quota 3.500 c'è ancora un pezzo da 149, dichiarato monumento nazionale. Ora in quegli stessi luoghi si va a sciare. Il corpo dell'ultimo milite ignoto, ritrovato a venti mesi dal centenario dell'attentato di Sarajevo che incendiò l'Europa, affiorava dalla neve a lato di una pista. Accade spesso che il ghiacciaio, meno esteso di un tempo, restituisca una piccozza, una giberna, lo scheletro di un mulo, un berretto da alpino, una lettera.
Questa è la lettera che Antonio Bergamas scrisse a sua madre Maria, per spiegarle perché avesse scelto di andare a morire sul Carso anziché combattere al fianco degli austriaci. «Domani partirò per chissà dove, quasi certo per andare alla morte. Quando tu riceverai questa mia, io non sarò più. Perdonami dell'immenso dolore ch'io ti reco e di quello ch'io reco al padre mio e a mia sorella, ma, credilo, mi riesce le mille volte più dolce il morire in faccia al mio Paese natale, al mare nostro, per la patria mia naturale, che il morire laggiù nei campi ghiacciati della Galizia o in quelli sassosi della Serbia, per una patria che non era la mia e che io odiavo. Addio mia mamma amata, addio mia sorella cara, addio padre mio. Se muoio, muoio coi vostri nomi amatissimi sulle labbra, davanti al nostro Carso selvaggio».
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